Last Updated on 02/07/2019 by bowman
Dopo l’ultimo, impressionante, ribasso dei tassi d’interesse in Europa, chi cerca un’alternativa all’investimento azionario (o comunque ad ‘alta volatilità’) si trova di fronte ad un bel problema.
A dire il vero non è facile investire in titoli governativi liquidi ed ottenerne redditività, da diversi anni, soprattutto dopo l’inizio del Quantitative Easing nel 2015.
Se chi detiene titoli di Stato Italiani può forse attendere per realizzare il guadagno qualche altro mese, nella speranza che i rendimenti si allineino almeno con quelli della periferia Europea (un titolo di stato rumeno o portoghese ad oggi rende molto meno di un BTP di pari durata), chi deve entrare oggi nel governativo rischia di farlo all’interno di una bolla sui tassi d’interesse che potrebbe svaluterare pesantemente il suo investimento, non offrendo alcuna redditività come contropartita di tale rischio.
L’effetto è stato dirompente anche sul debito mondiale: i titoli di stato emergenti sono in netta ripresa, i bond americani sono saliti moltissimo da inizio 2019, titoli nell’occhio del ciclone come i titoli di Stato Turchi in dollari, che poco tempo fa quotavano 98 (parlo del titolo all’8% con rimborso previsto tra 15 anni), ora stanno intorno a 106.
In questo panorama molti investitori corrono ai ripari: si torna al conto deposito o alla polizza di ramo primo (gestione separata), aspettando un ‘timing’ migliore per ‘entrare’ nel mercato.
Non è detto però che questo sia un investimento adeguato per tutti. E qualcuno quindi decide semplicemente di innalzare il livello di rischio e sostituire l’investimento obbligazionario con l’azionario.
Questo però può essere un significativo problema, anche se in fasi come queste, dopo 6 mesi di rialzo generalizzato degli indici, l’azionario è invitante e porta euforia.
Per chi “dovesse” inserire nel portafoglio degli asset obbligazionari/governativi, mi fermo ad una semplice osservazione.
La curva dei tassi in USA si sta invertendo. Che vuol dire? Che i titoli di stato americani a breve termine hanno dei rendimenti pari o superiori a quelli a lungo termine.
Troviamo una situazione di questo tipo:
In pratica il rendimento su base annua di un titoli di stato statunitense con vita residua di 1 anno è pari a quello di un titolo di stato a 10 anni, che incorpora però ovviamente molto più rischio di credito, di valuta, di mercato etc…
Questo è perché il mercato ‘scommette’ su un ribasso dei tassi d’interesse e, di solito, ad un probabile peggioramento dei mercati e dell’economia.
Un simile andamento, a novembre 2018, anticipò ad esempio lo storno del 20% sui listini azionari di natale scorso…
L’altra faccia della medaglia è che l’investimento in titoli di stato americani a breve termine può rappresentare un’alternativa per chi deve mettere titoli di stato in portafoglio.
Analizziamo un titolo tipo il US912828K338, è un TIPS (Treasury Inflation Protected Bond) che scade ad aprile 2020 (tra meno di 10 mesi) e sconta un dato molto basso sull’inflazione USA (che lo svaluta).
Prevede una cedola minima del 0,125% e non ci si può aspettare una grande rivalutazione inflattiva.
Tuttavia oggi si compra a 98,58.
Il che significa che (non considerando le commissioni di negoziazione, che variano in base al volume ed all’intermediario) tra 10 mesi avranno un rendimento certo del 1,44%. Ovvero 1,75% su base annua… proviamo a confrontarlo con un BOT e non c’è partita.
Ovviamente trattandosi di un titolo in dollari si corre il rischio valuta, ma in una fase in cui l’euro sembra puntare a tassi negativi e ad una decisa svalutazione, è difficile prevedere una forte svalutazione della divisa a stelle e strisce. Rimane un investimento caratterizzato da rischio cambio, per l’investitore europeo, ma anche una scelta a breve termine governativa che incorpora redditività e potenziale gain che potrebbe essere compensato da eventuali minus pregresse.
Oltretutto a scadenza, tra 10 mesi, quella liquidità potrebbe essere utile ad entrare sui mercati con un timing che offre maggiori opportunità.
P.C. 2 luglio 2019