Last Updated on 27/07/2024 by bowman
La “Ricerca del Valore” ovvero il cosiddetto Value Investing, è un approccio all’investimento azionario dotato di ampia bibliografia.
La cosa interessante è che nel 2020, più che negli ultimi anni (decisamente ‘sfortunati’ per gli indici cosiddetti “value”) la decorrelazione tra titoli “value” e titoli “growth” è stata particolarmente marcata, quasi impressionante:
Anche negli USA, una delle economie più dinamiche e ricche di liquidità, l’azionario Value non ha recuperato i crolli dovuti alla pandemia mondiale, invece il MSCI USA si assesta su livelli prossimi ai massimi storici.
Tipicamente l’investitore “Value”, che, rispetto all’investitore “Growth”, è stato punito per la sua strategia dal corso dei mercati negli ultimi 10 anni, concepisce il mercato azionario come ‘riserva di valore’ una concezione non dissimile da quella che spinge alcuni verso oro o altri asset di ‘riserva’.
In epoche ad elevata inflazione nei paesi sviluppati (quindi grossomodo fino a vent’anni fa), in effetti il mercato ‘valore’ che seleziona le aziende di un mercato azionario non sulla base del corso di mercato dei titoli (ovvero dal prezzo delle azioni), ma sulla base di fondamentali economici e contabili, sovraperformarono gli indici generali.
Durante le bolle (celebre quella del dot com nel 2000-2001) un approccio basato sui fondamentali è risultato più difensivo di una selezione basata sulle esuberanti quotazioni di merato
Questo approccio però, negli stessi indici, presenta molti se e molti ma. Società importanti che si occupano della selezione di indici azionari, come MSCI, hanno rivelato non poche criticità nella selezione ‘Value’ (ovvero basata su valori di mercato bassi rispetto ai valori contabili dell’azienda), in particolare a causa di una sopravvalutazione di aziende che potevano mettere negli attivi di bilancio enormi quantità di crediti verso terzi, emettendo credito a “leva finanziaria” rispetto al proprio ‘core’.
Questo non danneggiò gli indici Value nel loro complesso, non seriamente, finché la Grande Crisi (2007-2009) non colpì i mercati finanziari globali ed in particolare il settore creditizio-bancario con vere fasi di “Credit Crunch”.
Questo scenario, seguito ad anni di tassi bassi ed inflazione moderata (o addirittura di deflazione) hanno minato i risultati dell’investimento ‘valore’ aprendo le porte ad un decennio d’oro per le strategie “Growth” che investono invece in aziende sovrastimate dal mercato.
Esistono, oggi, varie strategie che però affiancano il classico approccio valore e rappresentano delle strategie di “Ricerca del Valore” alternative.
La MSCI ha affiancato ai classici indici MSCI Value anche indici MSCI Value Enhanced (utilizzati in maniera preferenziale, ad esempio, dagli ETF quotati su Borsa Italiana) e indici MSCI Prime Value (che affiancano ad una ponderazione settoriale dell’indice anche una selezione qualitativa).
Morningstar, celebre sito di analisi finanziaria, ha redatto un suo indice di aziende definite “Wide Moat” basate su criteri di vantaggio competitivo settoriale.
Il professor Robert Shiller ha studiato il calcolo di un valore, il CAPE, per misurare il livello di sopravvalutazione di un settore in una fase di mercato e teorizzato una rotazione settoriale, adottata da alcuni ETF cosiddetti “Attivi” (o semi attivi, Smart-Beta).
Altre società d’investimento, come la statunitense WisdomTree, hanno creato propri indici di analisi Multi-Fattoriale che mixano criteri di Qualità, Dividendo e crescita delle valutazioni alle classiche metodologie Price/Earning Ratio.
Di questo ho deciso quindi di parlare in una serie di video (mi auguro non troppo pesanti, ma confido che l’interesse per la materia sosterrà l’ascoltatore) di cui questo è l’introduzione:
P.C. 15/01/2020
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