Oro, Spezie e Tulipani

Riflessione: dal Consulente Finanziario all’Assistente Finanziario

Last Updated on 25/07/2024 by bowman

Vorrei condividere una mia pura considerazione/speculazione.
Ad oggi per non andare ‘da soli’ verso l’investimento
finanziario o la pianificazione finanziaria, che può essere un approccio più
completo ed a 360 gradi, esistono vari metodi. 
L’alternativa è il “self service” o
il trading, attività che si può fare con successo (soprattutto quando il
mercato aiuta un po’ tutti), ma in cui ci vuole molta esperienza per una valida
‘finanza-comportamentale’ (ovvero non metterci più emotività di quanto
necessario).
L’esempio più semplice è la ‘consulenza finanziaria’: vado
in banca, o dal Consulente Abilitato all’Offerta Fuori Sede (è lunga la
dicitura, ma sul promotore qualcuno può offendersi) ed avrò cento aspiranti
consulenti. Non si trova un idraulico o una donna delle pulizie neppure a
pagarli oro, ma i consulenti ci vengono a cercare con il cane da tartufi.
Esistono poi delle soluzioni più ‘light’, quali ad esempio i
Robot-Advisors, in Italia possiamo avere l’esempio semplice  e chiaro di MoneyFarm, divenuta più celebre
dopo il suo accordo con PosteItaliane.
Il problema della consulenza è, nella mia umile esperienza, il
costo che incide significativamente sui rendimenti e soprattutto il rapporto
commerciale (spesso spacciato per umano) in aperto conflitto d’interesse con il
consulente.
Esiste la “terza via” del Consulente Indipendente, con cui
però in vita mia ho avuto meno esperienze dirette e mi riservo dal recensire.
La mia riflessione è che ho osservato che con il
Promotore/C.f.a.o.f.s. il rapporto, che spesso diventa anche umano (il consulente è
il riferimento ‘unico’ del risparmiatore, è un libero professionista, ci si
basa molto sulla fiducia… tutte cose molto brutte per chi è un po’ paranoico
come me, mi spiace) tende ad avviluppare il risparmiatore in un drappo. Il
consulente prende decisioni, ‘gestisce’ il denaro (anche se in realtà più che
un gestore dovrebbe essere, appunto, un ‘promotore’), il capitale è un suo
asset, si applicano forti tecniche di retaining (evitare che il risparmiatore ‘esca’
da tale rapporto), molta dell’informativa passa per il consulente, eccetera…
Non sto a fare il solito predicozzo su rischi e possibili distorsioni (i
provvedimenti Consob a carico di promotori finanziari sono una buona fonte per
documentarsi in merito). Rifletto che spesso questo rapporto è inefficiente
anche per i consulenti. 
A fronte di un 2-3% all’anno (guardate i vostri rendiconti Mifid se ne avete) di costo minimo annuo (nella
mia esperienza) di consulenza per il risparmiatore/investitore (inteso come costo in più che paga
rispetto a sottoscrivere magari ETF o titoli di stato da sé), al consulente
arriva spesso 0,5% o 0,75% di continuing (fisso sulla gestione del portafolio),
qualcosa in più per servizi particolari (es. accensione di mandati fiduciari,
prodotti assicurativi, commissioni alla sottoscrizione/rimborso tolte dal capitale investito).
Il consulente ‘dipendente’ (il ‘povero’ impiegato bancario)
è soggetto ancor di più a conflitti d’interesse (non che i consulenti/promotori
non finiscano per utilizzare molti prodotti della casa o a rispondere ad alcune
logiche di budget) e gli articoli di giornale sulle crisi di banca sono anch’essi
ottima fonte bibliografica, oltre al risultato di ottenere in filiale, spesso
(salvo rare eccellenze… vabbé il Blog è mio, che devo scriverci?) un servizio mediocre. 
Ovviamente la legge Mifid parla
di tutt’altra realtà e la pubblicità degli operatori di Wealth Management
racconteranno un’altra storia, io però recensisco sulla base di esperienze
reali, per i mondi fantastici ritengo più economiche le serie in streaming. 
Un po’ meno (forse) nei Centri Private, ma lì forse siamo comunque ad un
passo ibrido tra filiale e promotore. Il buon Vilfredo Pareto (teorico di quell’ottimo
nella teoria dei giochi che non può comportare miglioramenti ad un contendente
senza causare peggioramenti nell’altro) in questo rapporto consulente/gestore e
risparmiatore credo troverebbe ancor più inspiegabile la mancata evoluzione a
cent’anni dalla sua morte dei rapporti economici nel sistema finanziario. Qui
infatti il consulente ha un premio in alcun modo proporzionale alla sua utilità
per il risparmiatore (che sarebbe la sua attività professionale), e spesso (per
curiosi processi storici ed economici nonché giuslavoristici) per il suo datore
di lavoro. 
In uno scenario A se fa bene il consulente (buon servizio al
risparmiatore) non ottimizza il guadagno immediato del datore di lavoro e la
sua retribuzione rimane una percentuale ridicola ed indipendente rispetto al
guadagno che ha dato ad entrambi gli altri attori del processo di consulenza. 
In
uno scenario B se fa solo vendita e massacra (inevitabilmente… nulla si crea e
si distrugge, se qualcuno ingrassa il suo portafoglio qualcun altro lacrima
sangue dall’altra parte) il risparmiatore (zero professionalità per lui e ‘danno’
a chi riceve il servizio che è oggetto della transazione economica) abbiamo l’utile
immediato del datore, un utile non proporzionale (aver centrato o
sovra-performato degli ‘obiettivi commerciali’ rendendosi candidabile per una ‘crescita’)
per lui ed un danno sia al risparmiatore che al sistema (quindi indirettamente
un danno più grave al suo datore di lavoro che ha avuto oggi l’uovo ma perde domani
la gallina). Il danno poi è immenso dove tale crescita dalla candidatura diventa reale: che azienda sarà, che principi avrà, quella in cui la direzione e la governance sono affidati a soggetti selezionati in base ai criteri del profilo B? 
In uno scenario C se è un lavativo/inefficiente (es. un
assenteista, o uno con uno stipendio/inquadramento troppo alto per il suo
ruolo/produzione) le sue tutele giuslavoristiche lo tutelano (certo più del Cfaofs!), ha un utile marginale
rispetto al servizio dato ed al datore di lavoro (viene pagato percentualmente
più di quanto produce), ma sta gettando il sale nell’orto che coltiva (se non
altro il datore di lavoro perde sia risparmiatore che margine di guadagno e vorrà farlo
fuori il prima possibile o trasformarlo in Cfaofs). 
Deve quindi destreggiarsi in un punto D di
equilibrio tra i tre punti A,B,C, laddove F(D) = (A,B,C). 
E fare l’equilibrista
non è facile né piacevole, e secondo me non è efficiente (anziché ottenere l’ottimo
di Pareto otteniamo tre attori tutti e tre insoddisfatti e mediamente sempre incazzati con il consulente).
 Vilfredo, con lo sguardo perso nel vuoto dopo aver letto il rendiconto Mifid2.
Il risparmiatore spesso dice “per anni ho dovuto avere a che
fare con questa gente (Promotore/Bancario), oggi il Fintech mi dà l’uovo di
colombo: il robot-advisor”. Con 0,5% l’anno (record tariffa minima che ho
trovato su internet di Alfa SCF) o 0,9% l’anno, ma con una media realistica
dello 0,75% l’anno (costo di MoneyFarm) ho chi mi dice come
impostare/correggere il mio portafoglio. Alla fine sono 80 euro al mese ogni
100mila.
Che è qualcosa di utilissimo (anche se per importi un po’ significativi
a questo punto preferirei imparare a gestirmi con il pianificatore di un sito
come JustEtf che almeno ha un canone fisso), però secondo me lascia alcuni
nervi scoperti:
1-     
La finanza comportamentale (conosci il cliente,
capisci cosa è meglio per lui, consiglialo e parlaci e fai una serie di analisi
facendolo accedere alle tue competenze per valutare il da farsi) professionale…
va a farsi benedire (ora, io non ho esperienza diretta con i Robot, ma credo
sia difficile che facciano un lavoro simile, anche se via Chat). Strategie,
esigenze evolute etc… non ne parliamo.
2-     
Rendiamoci conto di quanto viene offerto
rispetto a quanto viene pagato. Il ‘succo’ del robot-advisor è confrontare 2
tabelle: quella con il questionario/profilo del cliente e quella con le asset
allocation adeguate ad ogni profilo e ‘tirare fuori’ gli ISIN dei titoli /ETF
del portafoglio modello. Non so… è una cosa che si poteva fare in Basic negli
anni ’80 più che Fintech. 0,75% l’anno è poco rispetto al promotore che mi
girava come voleva o alla filiale che mi ‘piazzava’ il fondo della casa con il
5% di sottoscrizione… ma il prezzo/servizio dove sta?
Secondo me, potenzialmente, l’evoluzione della consulenza
finanziaria (salvo l’esempio del Consulente Indipendente, che però ‘solo contro
tutti’: cui solo il costo d’iscrizione all’albo costa molto di più, la
previdenza, la formazione, le tasse, i software… non so quanto può chiedere ‘poco’ come
parcella) può invece, grazie all’evoluzione digitale, andare ben oltre. Forse
ci vorranno diecimila anni dal punto di vista legislativo e giuslavoristico (e
le banche risponderanno come il mega-direttore di Fantozzi con un ‘possiamo
aspettare’).

Ecco la mia speculazione e sul passaggio all’Assistente Finanziario.
L’assistente finanziario dovrebbe dare consulenza, ma non ‘impossessarsi’
della relazione del cliente come uno suo asset su cui avere un continuing
(rendita continuativa da flusso commissionale di gestione) spesso opaco,
monopolizzando la gestione. Dovrebbe poter avere un rapporto diretto e
conoscitivo (come il consulente, a differenza del robot), ma non esclusivo e univoco.
Penso alla comunicazione a distanza, alla condivisione di informazioni, agli
strumenti di messaggistica come strumenti adatti a dare questo servizio.
Dovrebbe avere un guadagno (o canone) trasparente come quello di MoneyFarm (lo
so quanto gli do, in euro e all’anno: è chiaro da prima di instaurare il
rapporto), ma non una remunerazione ‘alta’ e potenzialmente illimitata come il
professionista totalmente ‘libero’ (in soldoni: se becco la vecchietta che mi
paga il settordici percento… perché no?!). Dovrebbe poter gestire non 20 o 60 o
100 clienti come un promotore, ma 500, ottimizzando il modello di servizio in
maniera ibrida al robot-advisor (es. creare sì, strategie professionali, ma
applicarle massivamente a portafogli simili) e potendo accedere ad una platea
più ampia. Avrebbe una reputazione, riscontrabile online come per ristoranti e
alberghi, sulla base del servizio che da.
Dovrebbe avere (di conseguenza, visto che ti trovi a gestire tante situazioni
diverse) molta esperienza ‘concreta’ (non i 50 master alla Bocconi presi un
tanto al chilo) ed empirica (ti è capitato di tutto, sai dare soluzioni anche
complesse facilmente a tutto, dal Trust alla casalinga separata). Potrebbe
applicare un canone dallo 0,20% allo 0,5% l’anno (500 clienti da 100mila
ciascuno x 0,002% = 100k lordi annui, anche con previdenza, ma con costi vivi
efficienti grazie a tecnologie digitali si dovrebbe ‘accontentare’… caspita!).
Dovrebbe ‘assistere’, come l’operatore del CAF, non come l’avvocato
principe del foro, all’investimento. Deve ‘smazzarzi’ il lavoro, un lavoro che
teoricamente l’investitore può benissimo fare da solo, sulla carta, ma a cui
conviene rivolgersi ad un assistente la cui retribuzione non pregiudica il
risultato finale come a tutti noi può convenire spendere una cifra contenuta
per un architetto per sistemare casa e svolgere le pratiche burocratiche:
perché lui lo fa prima, meglio, è pratico e mi costa meno che imparare da solo.
Perché la stragrande maggioranza degli investitori ha
bisogno di un po’ d’assistenza… tutto il resto è inefficiente, secondo me.
Ovviamente ci sono troppi interessi nel Wealth Management perché
qualcosa del genere prenda piede, soprattutto dal punto di vista
normativo, però da buon equilibrista ogni tanto mi soffermo a riflettere su
queste analisi.

P.S.
I dati li ho presi da internet solo per fare esempi (non si vol diffamare o criticare nessuno), le considerazioni sono mere opinioni personali da consumatore, spero obiettive.
Qualcuno penserà: nel 2019 il mio fondo azionario USA ha fatto +25%… il 2% l’anno di costi di consulenza, ma anche il 3% non incide molto, ma neanche il 6% diciamolo… Qui andrebbe fatto un altro discorso. Innanzitutto ci sono poi i costi vivi dello strumento, l’imposta di bollo (anche lo Stato deve pur mangiare) e le tasse di capital gain. Poi c’è da dire che se un ETF costa 0,3% una volta che ci ho aggiunto i costi del RobotAdvisor ho quasi raggiunto le Sicav e i fondi meno esosi… se ci metto un 3% mangio tutta la redditività di un titolo di stato italiano a lunga scadenza e sono obbligato, per avere semplicemente un rendimento positivo nel tempo (i costi erodono capitalizzando il loro effetto sull’investimento), sul concentrarmi su asset rischiosi/redditizi solo per poter pagare chi mi consiglia (non è un pò una distorsione del concetto stesso di consulenza?). E anche lì qualcuno dirà “e grazie, oggi i titoli di Stato rendono poco”, certo negli anni ’90 magari mi davano il 6% e allora 2% l’anno era sostenibile? No, perché tolta l’inflazione alla fine sull’investimento prudente finiva per guadagnare sempre e solo il promotore, nel lungo termine, anzi magari era peggio. Io ‘miro’ ad un obiettivo 0,2% perché, pari all’imposta di bollo, secondo me è una soglia che ha impatto molto sostenibile per quasi tutte le volatilità ed i profili di investimento. Magari riuscirci. Forse tutta questa riflessione è una pura utopia o una boiata, almeno spero di aver risarcito il lettore con una vignetta divertente.

P.C. 12.01.2020

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